“Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare.” (Liliana Segre)

L’unico antidoto all’oblio, all’indifferenza, alla pericolosa dimenticanza della Storia è il ricordo. La Giornata della Memoria è un monito, un pilastro fermo a cui appoggiarci, da cui trarre insegnamento e forza affinché l’umanità non ricada negli stessi errori. A farci da guida nel tunnel dei ricordi legati al periodo più buio della Storia del mondo c’è la forte testimonianza di Liliana Segre

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Liliana Segre

Biografia di Liliana Segre

13 anni. Una bambina e un treno, per la precisione un carro bestiame. Liliana Segre e il binario 21: comincia qui un viaggio da incubo verso Auschwitz, il tristemente noto campo di concentramento in cui furono sterminati milioni di ebrei. Il 30 gennaio del 1944 Liliana Segre viene portata alla Stazione Centrale di Milano, nel punto in cui, tra il 1943 e il 1945, partirono 15 convogli pieni di migliaia di ebrei destinati alle camere a gas. L’attuale senatrice a vita della Repubblica Italiana fa parte del gruppo di 25 bambini italiani, sopravvissuti allo sterminio nazifascista. Da quel binario ne erano partiti 776. 

In ogni intervista Liliana Segre ha raccontato la sua storia, una narrazione cruda, che arriva dritta allo stomaco. L’11 settembre del 1943 la piccola Liliana venne separata dagli affetti familiari, rea di essere nata in una famiglia di origini ebree. Una valigia fatta in fretta e via, per partire con il signor Pozzi, sfollato in Piemonte. Liliana Segre fu costretta a scappare, grazie all’aiuto di quel fornitore della ditta tessile di suo padre, dopo l’emanazione delle leggi razziali. Dentro quel piccolo bagaglio c’erano un quadernone rilegato, l’Album dei Ricordi, pieno di dolci pensieri scritti dalle amiche, un maglio e un paio di scarpe di ricambio. 

Insieme alla famiglia Pozzi, Liliana resta nascosta con documenti falsi per oltre un mese. Poi cominciò il controllo sistematico da parte dei tedeschi e quella bambina spaventata, lontana chilometri da casa e famiglia, non fu più al sicuro. Liliana scappa di nuovo e arriva in un’altra famiglia. Ad accoglierla ci pensa Paolo Civelli, un amico del padre, nella sua casa di Castellanza, in provincia di Varese. Qui la Segre resta per tutto il mese di novembre del 1943. 

Padre e figlia si rincontrano per tentare la fuga in Svizzera, con in mano un permesso rilasciato dalla questura di Como. Quel documento si rivelò presto inutile: al confine si presentarono come richiedenti asilo, ma vennero ricacciati indietro. “Bugiardi!”, così vennero apostrofati dalla guardia di frontiera: secondo quell’ufficiale in Italia gli ebrei non venivano perseguitati. Ai polsi di Liliana e del padre scattano le manette: arrestati. 

Un giro di carceri e prigioni: prima a Varese, poi a Como, poi a San Vittore a Milano. Il padre viene rinchiuso nel reparto maschile, la piccola in quello femminile. Non ha più la sua valigia, le sono stati tolti l’album e gli indumenti di ricambio. Nella sua testimonianza Liliana Segre ricorda tanta sporcizia e l’impossibilità di avere indumenti puliti. Poi arrivò, inesorabile, l’ordine di deportazione. 

Comincia il viaggio verso il campo di concentramento di Auschwitz all’interno di un vagone piombato, senza vedere nulla. L’unica cosa percepita era il cambiamento di luce, l’alba, il tramonto, il giorno, la sera. Liliana non sa dove sta andando, ma sa che è irrimediabilmente lontana da casa. Nella sua testa solo buio e rumore di ferraglia. 

Nel Giorno della Memoria Liliana Segre racconta l’arrivo ad Auschwitz, quando si è trovata di fronte ad un’enorme spianata di neve, circondata da freddo e desolazione. Intorno a lei, tanta gente: da una parte i prigionieri del campo che avevano l’ordine di smistare le valigie, dall’altra i soldati nazisti che si occupavano dei nuovi arrivati, insieme alle guardie con i cani al guinzaglio che abbaiavano. Era il 6 febbraio del 1944: fu quella l’ultima volta nella quale Liliana Segre vide suo padre. 

I libri di Liliana Segre descrivono bene l’orrore che fu costretta a vivere, obbligata a lavorare in una fabbrica di munizioni insieme ad altre 700 donne e ragazze, con turni di giorno e di notte. Dopo giorni passati a piangere e disperarsi la tredicenne si chiude in se stessa, nel suo silenzio, decidendo di non rivolgere la parola a nessuno. 

Un anno e mezzo passato nei campi di concentramento e sterminio, un incubo per chiunque, figurarsi per una bambina che cominciava ad affacciarsi alla vita. Viene spogliata, messa in fila nuda per la selezione, le vengono assegnate una baracca, un vestito a righe, una stella gialla. Vive tra freddo e pidocchi.

Alla metà di gennaio del 1945 la liberazione: l’Armata Rossa scopre l’inferno e liberano i prigionieri, mentre i nazisti evacuano il campo. Liliana comincia la marcia verso la libertà, insieme agli altri prigionieri, una marcia lunga settimane fino al campo di Malchow, in Germania, dove resta fino all’aprile del 1945. Quattro mesi dopo la sopravvissuta ad Auschwitz Liliana Segre torna a casa, in Italia, in treno, ma questa volta si gode il paesaggio e la sensazione di essere viva.

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Liliana Segre

L’incubo più grande, vissuto sulla propria pelle. La sottrazione della libertà, la privazione del diritto di essere umani, la paura. Finché avrà voce e fiato, Liliana Segre deve continuare a raccontare, a raccontarci di quanto ha visto e vissuto, perché il Mondo non dimentichi, perché nessuno si volti indifferentemente dall’altra parte, perché la Storia non si ripeta, mai più.